Ho chiuso “Nella musica del vento“, ho chiuso gli occhi e ho lasciato che i miei pensieri cavalcassero le emozioni che queste pagine mi hanno suscitato. È raro che un romanzo riesca ad entrarmi così tanto dentro. Ho proprio avuto bisogno, dopo averlo letto, di quei cinque minuti di silenzio che mi permettessero di tornare con i piedi per terra.
Che piaccia o no che la trama e gli argomenti trattati siano o meno in armonia con il proprio sentire, non importa. C’è un qualcosa di selvaggio in queste pagine, di ancestrale, che ti tiene legato ad esse anche se non ti ritrovi nel modo di vivere dei protagonisti.
“Nella musica del vento” mi ha talmente scossa che, per una volta tanto, sto scrivendo la recensione senza lasciar sedimentare le mie impressioni. Qui non c’è bisogno di riflettere. Come in ogni pagina del testo l’irruenza del pensiero e delle azioni non si lascia piegare dal tempo, ma esplode guidata dall’urgenza del viverle, lasciando loro la libertà di essere, così ora la mia penna graffia questo foglio, avida di riversarvi tutta l’energia assopita risvegliata da questo racconto.
Avete mai sentito parlare di Marco Steiner? Io si, ma molto superficialmente.
Non mi ero mai soffermata sui suoi lavori. Ho sempre legato il suo nome a quello di Corto Maltese, al grande Hugo Pratt, ma, non avendo mai letto niente che venisse fuori dalla sua penna, non immaginavo quanto potesse essere profonda la sua scrittura.
Voi avete già letto qualche suo libro? Che opinione vi siete fatti dei suoi romanzi?
In questo di superficiale non c’è nulla, anche se, dalla trama, parrebbe il contrario. Vi chiederete cosa ci possa essere di così eclatante in un viaggio compiuto da un bandito e una prostituta in cerca di un mondo nuovo dove vivere una nuova vita. Le loro storie si intrecceranno con quelle di indigeni, navi fantasma, isole misteriose, fuorilegge avidi e senza peli sulla lingua.
Quelli di voi che hanno adorato i libri di Stevenson potrebbero pensare di trovarsi di fronte a un libro stile “L’isola del tesoro”. Ma è così solo in parte; qui tutte le vicende, per quanto rocambolesche possano essere, fungono solo da sfondo per narrare la vera storia: quella di due anime allo sbando che condividono il cammino per ritrovare se stesse e il proprio concetto di libertà. Questo fa sì che “Nella musica del vento” possa essere definito un “peculiare romanzo di formazione” il cui finale inaspettato non vi toglierò l’ebbrezza di scoprire.
Prima ho parlato di profondità della scrittura di Steiner. Lasciate che vi spieghi cosa intendo.
L’autore fa sì che i suoi personaggi siano sempre presenti al momento. Non crea per loro ideali di vita, non fa loro compiere azioni che lascino il segno, che siano di esempio per le generazioni future, no! Li fa scendere all’inferno con corpo e anima, fa toccare loro il fondo in modo che da esso vengano imbrigliati.
Non li giudica, non li condanna, li lascia liberi di ritrovarsi nel nulla e di ritrovare in quel nulla il loro universo.
E loro son ben coscienti del loro modo di essere, non chiedono sconti né pene, solo la possibilità di capirsi.
Colpiscono le parole con cui Morgan Jones si presenta. In esse subito si avverte la rabbia del protagonista e la sua disperazione, ma anche il bisogno intrinseco di confessarsi. Il suo è un avvertimento per il lettore: sembra che voglia subito mettere in chiaro cosa attende chi decide di avventurarsi nella storia, ma anche precisare che questa, la sua storia, non cambierà per compiacere nessuno.