La mamma non c’è più. È stata fagocitata dal buio. Ed è il buio a essere il fulcro trainante della narrazione nel romanzo d’esordio di Pier Lorenzo Pisano. Giovane autore di cinema e teatro, per “Il buio non fa paura”, NN Editore, compie una scelta stilistica decisamente originale, che gli è valsa la finale al Premio Calvino 2020.
A essere protagonisti sono tre fratelli; ma la regia delle scene è affidata a uno solo di loro, Gabriele. Proprio a causa di una sua marachella, una sera, la mamma, allontanatasi dal cortile di casa per prendere del latte in stalla, scompare dileguandosi misteriosamente nel nulla più oscuro. La famiglia, padre in testa, si mette immediatamente sulle sue tracce, senza alcun riscontro. La mamma non c’è più. Il buio se l’è portata via.
Saranno delle misteriose morti di animali lungo il ruscello a evocare la possibilità che sia stata uccisa da una bestia feroce, un mostro. L’intero villaggio, preda della paura, imbracherà i fucili e partirà in direzione del bosco a caccia del mostro. E come può un bambino resistere al mistero? Gabriele seguirà di nascosto l’esercito del padre e lì, sperso nel buio, troverà un’ombra traballante e terrificante; solo che questa avrà il profumo di sua madre. E non avrà più paura.
A questo punto la dimensione paranormale del romanzo si intrufola nella trama, ma lo fa discretamente, delineando una favola nera che è una storia di dolore, di perdita, di lutto, di formazione, con quel tocco onirico e visionario a renderla accattivante. La cornice è quella tipica di una fiaba – un villaggio, un fiumiciattolo, una casa in montagna, un faggio – e la stessa trama sarebbe eccessivamente fiabesca, se non fosse supportata da una sintassi originale e inedita per il genere, dove l’unica punteggiatura ammessa è la virgola a spezzare pensieri e dialoghi. Seguendo il flusso narrativo, si arriva così a fraternizzare col dolore di una famiglia a pezzi, mancante della sua luce, la mamma.
La particolarità è proprio in questa accecante dicotomia cromatica, buio e luce, che ricorda molto “Io non ho paura” di Ammaniti; e personalmente, nella creatura d’ombre che si rifugia nel fitto della boscaglia ho ritrovato lo stesso ondeggiare e le stesse trasparenze dei fantasmi del regista giapponese Myazaki della “Città incantata”. È veramente difficile che un autore italiano riesca a far sua quella grande capacità visionaria che è propria del mondo nipponico. Pier Lorenzo Pisano ci è riuscito, senza rinunciare ai toni tipicamente italiani del romanzo di formazione.
Il dolore è al centro del vortice narrativo: il capofamiglia fa a pezzi il lutto, spaccando la legna, mentre i figli, a capo chino per la tristezza, cercheranno la luce materna nelle intercapedini della loro immaginazione, come negli oggetti-ricordo più cari, generando nel lettore una tenerezza sconfinata. E lo ammetto, qualche lacrimuccia scappa.