“Ormai era chiaro a entrambi che diventare grandi significasse dire addio” – Morsi
Tutto inizia coi toni placidi del romanzo di formazione. La voce di Sonia fa da bussola nel mondo provinciale di Lanzo, un paesino del torinese incastonato tra le montagne, dove gli abitanti si conoscono tutti. Il punto di vista ha la statura di Sonia che è in quella delicata fase di passaggio chiamata adolescenza e la narrazione si muove tra la casa di nonna Ada e la scuola. È un mondo come se ne vedono ovunque; già dalle prime pagine, però, si intuiscono elementi fantastici che nella seconda parte prenderanno una deriva orrifica.
La nonna di Sonia è una “masca”, la guaritrice del paese. Tutti le portano rispetto e incute timore persino alla nipotina. Sono proprio le perplessità avanzate dall’innocenza infantile di Sonia a creare una nebulosa misteriosa intorno alla figura della nonna che, al pari di una strega, può guarire ma anche maledire.
L’innesco di tutta la narrazione è in un incidente. La professoressa Cardone si è chiusa in classe e davanti agli alunni si è presa a morsi, cibandosi di se stessa. Un atto di cannibalismo che Sonia e i suoi compagni di classe non sanno spiegarsi. Perché i morsi per loro sono quelli dei baci, non di certo i morsi autoinflitti alle proprie braccia e alle proprie viscere a cui gli adulti di Lanzo sembrano essere soggetti.
Poi ci sono i morsi della paura e quelli del gelo. Perché dopo l’incidente improvvisamente si abbatte sul paese una nevicata mai vista e chi non è partito per le vacanze natalizie altrove si trova bloccato a Lanzo, Sonia compresa.
Insieme a Teo, il bambino che abita nella cascina vicina, Sonia attraverserà un villaggio desolato per sfuggire alla nonna Ada che, in un primo frangente, pare essere il nemico numero uno. I due ragazzi si imbatteranno in diversi cadaveri tutti colpiti dalla stessa ira funesta della professoressa Cardone: morti per dissanguamento dovuto a morsi letali autoinflitti.
A questo punto del romanzo è chiara la piega verso cui scivola la narrazione: l’atmosfera è rarefatta, l’ambientazione paranormale e i dettagli piuttosto splatter, non adatti certo ai deboli di stomaco. Quell’inverno del ’96 fu per Sonia e Teo una sorta di iniziazione alla crescita.
“Conoscere il nome delle cose significa salvarsi. Le parole salvano sempre. Erano l’unica arma di Sonia, e lei a disposizione aveva quelle giuste”
L’allusione al romanzo Anna di Ammaniti è lampante: la coppia di protagonisti si muove in un universo dove gli adulti sono fuori gioco e ai bambini tocca cavarsela da sé. L’elemento avventuroso vena la lettura di un tono intrigante eppure, a mio avviso, il romanzo non sembra mai decollare.
Marco Peano si muove su un crinale scivoloso, sospeso tra il romanzo di formazione e la favola nera. Il doppio binario viene perseguito dall’inizio alla fine: l’amicizia timida e impacciata tra una bimbetta razionale e perspicace come Sara e un ragazzetto ingenuo e insicuro come Teo si evolve con l’accrescere dell’avventura horror.
Di contro, il lessico è scarno e la sintassi uniforme e ripetitiva, entrambi frutto di una scelta stilistica ponderata apprezzabile. Tuttavia, gli spunti narrativi degni di nota non trovano margine di sviluppo. Uno su tutti il ribaltamento del topos della scuola come culla felice della crescita: Peano dipinge l’ambiente scolastico come il nido di serpi, è lì che si annida il male da scacciare, ma con ciò cosa vuole realmente dire l’autore? Poi, la climax della relazione tra i due protagonisti si arresta bruscamente sul finale, perché?
Al netto della riuscita o meno delle intenzioni sottese dello scrittore, la sensazione è quella di un buon romanzo scritto dai ragazzi per i ragazzi coi tempi dei ragazzi, per questo motivo lo consiglierei a una platea giovane.
Parla la lingua degli adolescenti sconquassati da un centrifugato di emozioni che mordono le loro vite senza che gli adulti se ne rendano conto. Crescere nel romanzo di Marco Peano non è semplicemente un percorso a ostacoli ma una vera e propria apocalisse. Il punto è: come uscirne vivi?
L’autore
Marco Peano è un editor italiano, che si occupa di narrativa per la casa editrice Einaudi. Insegna anche allo Ied di Torino, e con Giorgio Vasta cura il progetto “Esor-dire”, dedicato allo scouting letterario. Del 2015 è il suo romanzo d’esordio L’invenzione della madre (Minumum Fax).