“Cos’è successo che la vita è diventata uno spazio tra una tragedia e l’altra?” – Da “Lei che non tocca mai terra” di Andrea Donaera.
Andrea e Miriam si frequentano da pochissimo tempo quando lei, in seguito ad un incidente, entra in stato di coma. Andrea non si rassegna a perderla, non rinuncia la futuro che il destino sembra aver loro negato. Ogni giorno si reca al suo capezzale e le parla. Tra loro il legame è talmente forte che si ritrovano a dialogare tacitamente mentre al di fuori regnano incomprensioni, conflitti e segreti.
“Mi piacerebbe vivere in un posto dove c’è un uragano che si chiama come me”
Miriam è la figlia del sindaco del paese. È bella e tormentata; è adorata dal padre che l’ha accolta come un dono prezioso, mentre la madre prova quasi avversione nei suoi riguardi. La sua nascita è avvenuta pochi mesi dopo la morte della zia dalla quale ha ereditato il nome e la prodigiosa somiglianza. Una morte misteriosa e improvvisa, un evento di cui nessuno vuole parlare ma che ha portato rabbia e dolore nella vita di Mara, madre di Miriam e sorella della defunta zia.
Mara si è trasformata in una donna instabile e collerica. Il padre Lucio, invece, è un uomo rassegnato e malinconico.
Gli unici punti fermi di Miriam sono l’amica Gabry e il fidanzato Andrea. La prima è scanzonata, disinibita e perennemente nei guai. Il secondo invece è un giovane sensibile e maturo, costretto ad occuparsi di una madre caduta in depressione dopo il suicidio del marito, suo padre.
Il confidente di Andrea è padre Nanni, lo zio di Miriam profondamente odiato da Mara. Un noto guaritore, un sacerdote esorcista dalla personalità enigmatica e complessa ma sinceramente affezionato al ragazzo.
“Vorrei essere io il riposo di sua figlia, signora. Vorrei essere io la sua cura. Signora. Vorrei essere io” – Lei che non tocca mai terra
La struttura narrativa gravita attorno alla figura di Miriam, uno dei personaggi principali, in stato di coma. Ogni capitolo è dedicato ad ognuno dei protagonisti della storia che, in quel dato momento, si trova al suo capezzale o sta pensando al lei.
Tra un capitolo e l’altro, vi sono i suoi ricordi di vita, i suoi pensieri e i dialoghi silenziosi tra lei e Andrea.
“Vorrei scrivere un libro d’amore. Con dentro un elenco di nomi. Il tuo sarebbe in cima. Forse sarebbe l’unico”
Il punto d’intersezione della storia è Miriam, in quanto i percorsi di vita di tutti i personaggi, s’incontrano passando attraverso il suo. Lei rappresenta il loro comune denominatore.
Il ritmo narrativo è fluido, il clima decisamente cupo, i personaggi quasi inquietanti. Nessuno di essi è in pace con se stesso né ha un rapporto sereno con il mondo circostante. Sono tutti talmente tormentati da rasentare il patologico. Sicuramente singolari e ben tratteggiati, ma decisamente “neri”, claustrofobici, come del resto lo è tutta la trama.
Si narra di traumi, difficili trascorsi famigliari, morte e superstizione. Il linguaggio è semplice ed immediato, sebbene i concetti che esprime appaiono complessi; è appesantito da qualche imprecazione decisamente forte e da una sintassi volutamente imprecisa. Entrambi gli elementi sono sicuramente serviti all’autore per dar credibilità ai personaggi, è a discrezione del lettore tenerne conto o meno.
“Se dovessi spiegare cos’è ‘sto mondo, ecco, io gli mostrerei gli occhi tuoi. Che sono bellissimi, ma devastati, che sono di un azzurro che nessuno lo può immaginare se non lo vede , ma che sono pure un po’ rossi in certi punti, come se dietro c’è fisso un dolore“
“Lei che non tocca mai terra” di Andrea Donaera è una lettura inquietante dove tutti i personaggi sembrano muoversi all’interno di un tunnel stretto e buio. Sono vicini, si urtano, si scontrano, si toccano ma non si vedono. L’idea di fondo è interessante se pur drammatica. Una giovane in stato di coma che lotta per uscirne, mentre chi le sta intorno si adopera per aiutarla, cercando nello stesso tempo di andare avanti. Poi però la trama prende altre pieghe dove io non sono riuscita ad infilarmi. Non sono riuscita a comprendere questi risvolti e, di conseguenza, ad apprezzarli.
Il linguaggio narrativo, pur essendo realistico, non è stato di mio gradimento. Trovo la bestemmia sempre volgare e fuori luogo, al di là del fine per la quale è stata inserita, anche nella migliore delle storie. Non voglio assolutamente mettere in dubbio il talento o l’abilità narrativa dell’autore, si tratta di una mia personale considerazione. Sfortunatamente ha inficiato sulla mia valutazione. Non sono riuscita ad andare oltre, forse perché neppure la trama mi ha coinvolta. Ogni volta che mi ritrovo nell’incapacità di entrare in un contesto narrativo, la vivo come una sorta di sconfitta in quanto lettrice e me ne dispiaccio.
A voi accade?